Al verificarsi di fatti di cronaca come quello della ragazzina costretta a prostituirsi da un uomo incontrato su internet, si finisce sempre per dare la colpa al web. Inutilmente: «Il web, le chat, i social network sono come una grande piazza. Ma se nelle piazze reali si incontra un numero limitato di persone, in quelle virtuali la visibilità è moltiplicata. E si moltiplicano anche – spiega Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano – rischi e fragilità». I preadolescenti, come la bambina di Besnate, sono vulnerabili: e sfidano questa loro debolezza mettendo in scena se stessi – fin troppo – nel mondo virtuale. Che poi tanto virtuale non è: non è raro vedere profili Facebook di ragazze giovanissime con foto in atteggiamenti provocanti, trucco spinto, abbigliamento ridotto al minimo: «Il web diventa un palcoscenico per il loro sé, costruiscono un personaggio ma con una evidente esagerazione d’identità. Quel che cercano – continua Giaccardi – è il riconoscimento». L’esagerazione è sintomo di un disagio: «Cercano nella rete quel che non trovano in altri contesti. Mancano persone disposte con pazienza a mettersi in ascolto. Le famiglie sono poco presenti quando i figli frequentano le piazze virtuali. Mamma e papà non sempre sono consapevoli dei rischi. Invece è necessario accompagnare i ragazzi, non lasciarli soli per rendere superfluo – spiega la docente – il ricorso a queste relazioni alternative, guidarli lungo strade più sicure». Sembrano tutt’altro che imbranate le ragazzine di oggi, sveglie e consapevoli. Poi, però, scopri che si fanno imbrogliare con la storia più vecchia del mondo, che bastano due paroline dolci per conquistarle, che aspettano il principe azzurro e che – quando si convincono di averlo trovato – gli corrono incontro senza paura: «Dimostra, è questo è un fatto positivo, che sul web non si cercano solo relazioni virtuali, che la rete è uno spazio di transito – prosegue Giaccardi – per arrivare a una conoscenza concreta, per incontrare gli altri faccia a faccia. Il tutto, però, si basa su un errore di prospettiva, cioè l’essere convinti di parlare a pochi mentre ci si sta rivolgendo a una moltitudine ». I ragazzi, e non solo loro, si espongono – si sovraespongono – senza esserne consapevoli, senza valutare le conseguenze delle loro azioni. «Chi conosce il meccanismo e ha brutte intenzioni – conclude l’esperta – non fa fatica a sfruttare la situazione».